giovedì 25 aprile 2013

Il metodo di Lachmann ai tempi di Google



Rispetto ai suoi colleghi scientifici il laureato in materie umanistiche forse ha una marcia in più: il mondo dell’informazione –inteso come metodo di ricerca, lettura e analisi dei segni- è il suo mondo. Oggi ci troviamo in una situazione simile a quella di Edison e Siemens, quando alla fine dell’Ottocento crearono le grandi compagnie elettriche. Entrambi dovettero reclutare i primi tecnici dell’elettricità fra i telegrafisti –gli unici che avevano competenze appropriate. Un esempio più vicino alla nostra sensibilità ci viene da Walter Benjamin a proposito del “riciclarsi” dei pittori di miniature, che già verso il 1840 diventarono “fotografi professionisti, dapprima a tempo perso, poi in modo esclusivo. Le esperienze derivanti dal loro precedente mestiere erano loro d’aiuto, e l’alto livello delle loro realizzazioni fotografiche è dovuto non alla loro preparazione artistica bensì alla loro perizia artigianale”. Entrambe le vicende ci suggeriscono che l’innovazione tecnologica fa emergere professionalità e mestieri ibridi, e che in un determinato momento storico si apre uno spazio molto vasto per la sperimentazione e la creatività dei singoli. Successivamente il sistema si stabilizza e a poco a poco gli spazi si chiudono: nascono gli equilibri monopolistici e i cartelli e le istituzioni educative fissano i percorsi di formazione. In questo momento il problema maggiore è la consapevolezza, soprattutto da parte degli umanisti, di queste potenzialità professionali e del poco tempo a nostra disposizione. Gli umanisti devono far sentire la loro voce lì dove le nuove tecnologie tracciano i contorni delle professioni future. Un futuro dal quale il  bias della testualità, come abbiamo visto, non è affatto bandito.

Concludendo, mi pare di poter dire che, grazie alla digitalizzazione, le humanities stanno uscendo dalla loro “infanzia”. È stata un’infanzia dorata, all’interno di un giardino elitario: l’alfabetizzazione. Questo è un problema che il libro, da solo, non ha saputo risolvere. Certo non possiamo dare la colpa (o il merito) ai supporti, ma è lecito sperare che il computer acceleri i processi di diffusione della lettura e della scrittura e, insieme, ci aiuti ad andare oltre. La rete è già adesso uno strumento di comunicazione e insieme un’architettura di conoscenza più aperta e più complessa del mondo della stampa. Il documento scritto –pensiamo alle leggi e alle carte costituzionali- ha impiegato secoli per raggiungere, e poi per creare (e solo in alcuni paesi), un pubblico di massa. La televisione lo ha fatto in una generazione. Internet lo farà in un paio di decenni. L’umanista informatico –manipolatore di segni- non può che rallegrarsene" Domenico Fiormonte

Come avrete intuito dall'inizio del post (e anche dalla conclusione dello scritto che si propone in Pdf), Il primo scritto di questo blog non è dedicato solo alla filologia (nelle prossime "puntate" si comincerà a parlare della stessa definizione e quest'iscrizione sarà cancellata e sostituita con un link e questa sarà solo una delle tante varianti virtuali): "Il metodo di Lachmann ai tempi di Google" è il tanto breve quanto ambizioso scritto, che dal relatore venne definito "come fare una tesi in filologia della letteratura italiana senza parlare della letteratura italiana" (definizione in realtà errata perché vengono citati grandi italiani, da Dante ai filologi italiani che hanno contribuito al dibattito filologico internazionale, anche se bisogna ammettere che un grande, nel breve, spazio è dedicato principalmente al mondo dei motori di ricerca, di Internet e del Metodo di Lachmann per la sua importanza didattica) ...